Bancarotta fraudolenta

Bancarotta fraudolenta

Bancarotta fraudolenta: responsabilità del fallito e del concorrente

Il Tribunale di Udine si è recentemente pronunciato con un’interessante sentenza (la n. 415 del 2016) in merito ai reati di bancarotta semplice e fraudolenta ed al concorso dell’extraneus nel secondo.

Il caso sottoposto all’attenzione del collegio friulano riguardava la vicenda di un’attività commerciale gestita nella forma della società di persone che, alla morte del legale rappresentante, era stata proseguita dalla vedova nella forma della ditta individuale e che purtroppo, nell’arco di un paio d’anni, era entrata in crisi giungendo al fallimento.

Oltre alla bancarotta semplice per aggravamento del dissesto (art. 217, comma 1, n. 4) L.Fall., alla titolare dell’attività venivano contestate diverse condotte distrattive, in concorso con vari soggetti legati alla stessa di vincoli di parentela.

Nello specifico, l’accusa aveva ipotizzato che la cessione in affitto dell’azienda ad una società appositamente costituita dalla sorella e dal cognato della fallita, avvenuta più di anno prima del fallimento per un canone ritenuto incongruo, configurasse l’illecito previsto dall’art. 216, n. 1).

Il Tribunale ha ritenuto sussistente la penale responsabilità della fallita e della sorella, quest’ultima sia nella veste di amministratore di fatto della ditta individuale sia, a titolo di concorso, in quanto socio della affittuaria.

Si legge nella motivazione che il reato di bancarotta per distrazione si realizza anche attraverso la stipulazione di un contratto di locazione di azienda in previsione del fallimento che ha lo scopo di trasferire la disponibilità di tutti o dei principali beni ad altro soggetto. Elementi che qualificano la locazione come atto distrattivo sono i contratti di affitto stipulati per finalità estranee all’attività imprenditoriale, fatto che si verifica quando il dante causa e avente causa sono riconducibili, come nel caso in esame, allo stesso nucleo familiare o centro di interessi e quando dalla stipula del contratto d’affitto derivi l’impossibilità per l’impresa di proseguire l’attività economica senza garantire il ripiano della situazione debitoria della società.

Più oltre il Tribunale sottolinea che anche a prescindere dall’effettivo pagamento del canone e dalla sua congruità, ha le caratteristiche del fatto distrattivo l’avvenuta cessione dell’azienda all’interno dello stesso nucleo familiare ad una società appositamente costituita pochi giorni prima del contratto, in assenza di qualsivoglia garanzia di un ripiano della situazione debitoria ed anzi nell’evidente certezza che tale ripiano mai sarebbe potuto avvenire e che detta situazione debitoria si sarebbe incrementata degli oneri annuali non coperti dal canone.

L’accusa aveva, inoltre, contestato la natura distrattiva di due cessioni immobiliari della fallita.

La prima riguardava la metà di una casa di villeggiatura ed era avvenuta in favore del fratello quasi contemporaneamente all’affitto d’azienda.

Il collegio ha ritenuto sussistente la penale responsabilità sia della fallita che della sorella, in quanto amministratrice di fatto, mentre ha assolto il fratello ed i genitori, i quali rispondevano del reato quali concorrenti estranei.

Sottolinea al riguardo il Tribunale che la penale responsabilità in concorso dell’extraneus con il soggetto qualificato presuppone una consapevolezza che abbracci le varie condotte ed i reciproci nessi per il raggiungimento dell’evento distrattivo e quindi la consapevolezza della valenza distrattiva del contratto di cessione della quota di immobile.

Quanto alla conoscenza dello stato di dissesto, il Tribunale, pur dando atto degli orientamenti difformi della giurisprudenza sul punto, ha rilevato che nel caso di specie il soggetto estraneo non può essere in grado di ricavare dall’uscita del bene dal patrimonio un giudizio di concreto repentaglio degli interessi dei creditori.

Il secondo contratto di compravendita sottoposto alla valutazione del collegio aveva per oggetto la quota di 1/9 di un’immobile ad uso abitativo e della relativa pertinenza, ceduta dalla fallita alla cognata nel medesimo contesto temporale dell’affitto d’azienda e dell’altra compravendita.

Si trattava della quota indivisa di una proprietà che la fallita aveva ricevuto in eredità dal marito alla sua morte e che, per il resto, era di proprietà dei familiari del de cuius.

L’accusa aveva individuato la prova della condotta distrattiva nel fatto che il prezzo della vendita non corrispondeva alla nona parte del valore dell’intero.

Decisiva è stata la perizia depositata dall’acquirente, assistita dall’avv. Lorenzo Cudini, che ha smentito quella dell’accusa.

Il Tribunale ha assolto sia la fallita che la concorrente esterna dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste, sottolineando: che c’era obiettiva incertezza sulla incongruità del prezzo (tant’è vero che il curatore non aveva ritenuto di procedere ad una stima e neppure di agire in revocatoria); che vi era un oggettivo interesse di ricondurre in capo a pochi soggetti la proprietà di un immobile diviso in quote; che il curatore avrebbe incontrato molte difficoltà nel vendere una quota così modesta della proprietà, se non offrendola ad uno dei comproprietari.

Tali circostanze non consentono, si legge nella sentenza, di ritenere provata con adeguata certezza la finalità di spoliazione di tale cessione, benchè avvenuta in concomitanza con la stipula del contratto d’affitto d’azienda.

La fallita e l’amministratrice di fatto sono state ritenute, infine, responsabili del reato di bancarotta semplice (era contestata l’ipotesi di aggravamento del dissesto prevista dal n. 4) dell’art. 217). Si legge nella sentenza che tale fattispecie sanziona il semplice ritardo nell’instaurare la procedura di fallimento, sicché per la sua sussistenza è sufficiente che si profili un aggravamento inevitabile anche per il solo aumento degli interessi passivi.